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L’amministratore serve, l’avvocato no

Nella procedura di richiesta dell’amministratore di sostegno alcuni tribunali impongono l’assistenza di un avvocato e altri no. Una difformità di prassi che crea gravi problemi.

di Benedetta Verrini

Per richiedere la nomina di un amministratore di sostegno serve un avvocato oppure no? Non è una domanda di poco conto, visto che a quasi due anni di distanza dall?entrata in vigore della legge n.6/2004 (che ha introdotto nel nostro ordinamento questa nuova figura di tutela duttile e ?personalizzata? da affiancare a persone prive, in tutto o in parte, di autonomia nello svolgimento delle funzioni della vita quotidiana), i tribunali italiani non hanno ancora adottato una prassi omogenea. Così accade che mentre i giudici tutelari dei tribunali di Roma, di Modena e di molti altri fori italiani hanno stabilito, in linea con lo spirito della legge, che gli interessati e le loro famiglie hanno piena legittimazione ad agire in giudizio senza il patrocinio di un difensore tecnico, in altri tribunali (come in quello di Padova, di Livorno e, da ultimo, nella sezione distaccata di Dolo del tribunale di Venezia), si ritiene che la difesa tecnica sia un elemento necessario, a pena di nullità, della procedura istitutiva dell?amministratore di sostegno. «Trovo davvero inaccettabile che, oltre alla disgrazia di essere stati colpiti da una disabilità, si venga anche colpiti dalla sfortuna di abitare sotto la giurisdizione di uno di questi tribunali», tuona Giovanni Gelmuzzi, direttore dell?associazione Oltre Noi… la Vita, fondata da Aias e Anffas e dalle fondazioni Don Gnocchi e Istituto Sacra Famiglia. «L?amministrazione di sostegno», prosegue Gelmuzzi, «deve essere un diritto fruibile da tutti. Invece, purtroppo, troviamo ancora tribunali che impongono la presenza di un avvocato per avere una maggiore facilità e certezza dell?iter processuale, evitando così di doversi rapportare con soggetti e famiglie impreparati e a volte confusi circa le richieste da avanzare. Inoltre, ci sono tribunali che privilegiano ancora lo strumento dell?interdizione, come una strada più ?rassicurante?. Eppure l?amministrazione di sostegno è nata proprio per lasciare l?interdizione come una strada del tutto residuale, per offrire strumenti che compensino le carenze anziché interdire spazi di libertà nel timore di un loro uso improprio». Del tutto contrario all?imposizione dell?avvocato è anche Paolo Cendon, ordinario di diritto Privato all?Università di Trieste e tra gli ispiratori della legge sull?amministratore di sostegno. «Questa prassi finisce per strozzare le pratiche di richiesta», spiega. «Tutte quelle famiglie più deboli, in difficoltà economica o sociale, finiranno per rinunciare a questo percorso, nel timore di doversi rapportare alla giustizia con un avvocato e di dover sostenere una spesa economica per la pratica. Questa è la giustizia nel suo lato peggiore, quello che esclude». Sul piano del dibattito strettamente giuridico, i tribunali che impongono l?assistenza del difensore sostengono la portata generale dell?art. 82 del Codice di procedura civile, nel passaggio in cui dice che «davanti al tribunale e alla corte d?appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente». Per contro, i giudici tutelari che ritengono le famiglie pienamente libere di agire da sole, sostengono che l?art.82 non rileva, dal momento che l?amministrazione di sostegno non è uno strumento confezionato per accertare lo status giuridico di una persona ma, più propriamente, rivolto a garantire la più efficace gestione dei suoi interessi, nell?ambito della volontaria giurisdizione. «Augurandoci che questa diventi la lettura prevalente», dice Gelmuzzi, «noi restiamo al servizio delle famiglie». www.oltrenoilavita.it

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